La tutela del patrimonio dalle pretese creditorie è un’esigenza che può investire chiunque. Non si tratta di sindacare sulla legittimità – o meno – del credito vantato dal soggetto che agisce: invero, nel sistema vigente, le sentenze sono sempre provvisoriamente esecutive, e la loro esecuzione, salvo sospensione, prescinde dalla possibilità di accoglimento dell’eventuale appello.
Si tratta, invece, di prendere coscienza dell’esistenza di strumenti giuridici che consentono a terzi soggetti di soddisfarsi sul patrimonio di ciascuno di noi.
A fianco dei tradizionali strumenti dell’azione revocatoria e fallimentare, il legislatore dei tempi moderni ha introdotto rimedi efficaci onde evitare che si possano verificare ipotesi di depauperamento della propria consistenza patrimoniale al fine di lasciare insoddisfatti i propri creditori.
Si pensi, ad esempio, alla norma di recente introduzione[1] che consente di richiedere al Tribunale competente l’autorizzazione ad accedere alle banche dati della Agenzia delle Entrate e conoscere, così, tutti i beni, immobili o no, di cui si è intestatari.
Si pensi, ancora, alla facoltà prevista dell’art. 2929 bis c.c. introdotto dal d.l. n. 83/2015 che consente al creditore di trascrivere il pignoramento nel termine di un anno dalla data nella quale un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito e di procedere conseguentemente ad esecuzione forzata, senza che abbia ottenuto sentenza definitiva di revocatoria.
A quanto sopra si affianca l’opera della giurisprudenza, che, ormai, ha raggiunto posizioni consolidate – ad esempio – in materia di fondo patrimoniale, allargando le maglie delle “esigenze della famiglia” ed in esse ricomprendendo praticamente qualsiasi tipo di attività compiuta e consentendo quindi ai creditori di aggirare il vincolo imposto ai beni conferiti nel fondo.
Si possono poi ricordare quelle pronunce nelle quali l’impignorabilità del capitale derivante da una polizza vita (garantita ex art. 1923 c.c.) viene negata allorché la polizza abbia caratteri di investimento finanziario, ipotesi in realtà molto più diffusa di quanto si pensi.
Non si può quindi trascurare la necessità, soprattutto per chi esercita attività e professioni ad alto rischio di “aggressione”, di predisporre un’adeguata tutela del proprio patrimonio. Si pensi alla categoria medica, le cui polizze assicurative, sovente, si rivelano non garantire un’adeguata copertura dei sinistri eventualmente occorsi. Senza voler indugiare sulle esigenze degli imprenditori, esposti a innumerevoli rischi creditori e tributari (con esigenze, anche qui, di pianificazione volta non solo al risparmio fiscale ma, soprattutto, all’eliminazione preventiva del rischio).
Obiettivo condiviso: attuare una seria, preventiva e studiata pianificazione volta a evitare che gli atti di segregazione siano considerati in frode ai creditori, realizzando una struttura lecita ed effettivamente in grado di respingere azioni aggressive.
[1] Si tratta dell’art. 492 bis c.p.c.