Originariamente trascurata nell’ambito del diritto commerciale – pur essendo posta a modello della disciplina del contratto societario –, negli ultimi anni la società semplice è riuscita ad acquisire un ruolo sempre più centrale tra gli strumenti a disposizione del wealth planner.
Non a caso, da decenni alcune delle famiglie più note e influenti utilizzano la società semplice come base della struttura societaria familiare. Ma, se sino a qualche anno fa il suo utilizzo era considerato quasi una “moda piemontese”, oggi le sue potenzialità sono note, anche se il suo utilizzo merita di essere incrementato numericamente e qualitativamente.
Disciplinata agli artt. 2251 – 2290 cod. civ., non richiede forme particolari per la sua costituzione, salvo che siano conferiti beni immobili, nel qual caso è necessaria la forma scritta. È, in ogni caso, necessaria l’iscrizione nel registro delle imprese e nei fatti, dunque, è impedita la costituzione verbale.
L’oggetto della società può essere costituito esclusivamente da attività non commerciali, vicenda che per lungo tempo la ha relegata all’esclusivo esercizio dell’attività agricola.
Dal punto di vista fiscale, la società semplice può essere sfruttata utilmente, in quanto, valendo le medesime regole vigenti per le persone fisiche, non sono soggette a imposta le plusvalenze immobiliari relative a immobili posseduti per 5 o più anni.
L’utilizzo più ricorrente dello strumento nell’ambito del wealth management riguarda la pianificazione successoria. La strategia di base, ovviamente da adattare alle specifiche esigenze del cliente, consiste nello sfruttare la circostanza che, alla morte del testatore, entreranno in successione le quote societarie e non i beni conferiti in società. I benefici pratici di tale condizione sono palesi. Si immagini, infatti, di aver conferito in detta società uno o più beni immobili: all’apertura della successione, gli eredi acquisiranno le quote della società. Viceversa, qualora fosse il – o i – beni immobili a entrare direttamente in successione, gli eredi acquisirebbero una quota indivisa di esso, con possibili problemi concernenti la gestione che, sfruttando la struttura societaria, può essere delegata a un amministratore, sia esso esterno o scelto tra i futuri soci. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale rilevanza, avendo creato problemi interpretativi in ordine alla possibilità concreta di nominare, in una società semplice, un amministratore non socio, e della necessità di lettura sistematica di questa possibilità con la norma di cui all’art. 2267 cod. civ., che disciplina la responsabilità dei soci per le obbligazioni contratte dalla società.
Se è vero, infatti, che la società semplice è caratterizzata da autonomia patrimoniale cd. imperfetta, con la conseguente possibilità, per il creditore della società, di aggredire il patrimonio del singolo socio, l’art. 2267 cod. civ. permette di escludere la responsabilità – fermo restando l’obbligo pubblicitario di tale patto – dei soci che non agiscono in nome e per conto della società. La norma, che può anche essere sfruttata, evidentemente, in ottica di protezione patrimoniale, pone il problema dell’ammissibilità dell’amministratore esterno. Ove, infatti, l’amministrazione fosse delegata a un terzo, potrebbe essere possibile, con apposito patto ai sensi dell’art. 2267 cod. civ., escludere la responsabilità di tutti i soci. Poiché una tale interpretazione eluderebbe il principio di autonomia patrimoniale imperfetta, l’interpretazione maggioritaria considera, quindi, possibile la nomina di un amministratore esterno, ma a patto che almeno uno dei soci mantenga la responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte dalla società.
Molto interessante, anche questa volta al fine della possibile strategia di protezione del patrimonio, la coordinazione tra la disciplina della s.s. e le norme in tema di azione revocatoria: senza entrare in maniera eccessivamente approfondita nel tema dell’azione revocatoria, essa è un mezzo di conservazione del patrimonio del debitore, che consiste nell’attribuzione al creditore di un’azione giudiziaria per ottenere la dichiarazione di inefficacia degli atti di disposizione che rechino pregiudizio alle sue ragioni creditorie (art. 2901 cod. civ.). I presupposti per attivare l’azione suddetta sono rinvenibili nella cd. scientia damni (consapevolezza del debitore di creare un pregiudizio al creditore) e nel cd. consilium fraudis, cioè la consapevolezza del terzo beneficiario della sottoscrizione di un accordo volto a depauperare il patrimonio di un creditore della sua controparte contrattuale. Quest’ultimo requisito, in particolare, sembra naturalmente incompatibile con la sottoscrizione di un negozio societario volto alla lecita pianificazione del proprio patrimonio, in ottica gestionale o successoria.
Infine, meritano un cenno le possibili azioni dei creditori particolari del socio verso la società e le quote sociali. Nel primo senso, va rappresentato che, una volta conferito un bene alla società semplice, questi fuoriesce dal patrimonio del singolo socio ed entra a pieno diritto nel patrimonio della società, con la conseguente impossibilità, per il creditore del socio, di agire direttamente sul bene conferito. Resta salva, ovviamente, la possibilità di agire sul patrimonio del debitore, che sarà costituito anche delle quote della società. Ma la natura della società semplice limita anche la possibilità di agire sulle singole quote: mentre per le società di capitali la quota sociale, che si intende liberamente scambiabile, può essere oggetto di cessione, nonché di azioni esecutive da parte dei creditori, la quota della società semplice è stata ideata come intimamente connessa alla persona del socio, con la conseguenza che un creditore non può pretendere di subentrare nella qualità di socio, né di pignorare o sequestrare la quota suddetta (in tal senso Cass. Civ., n. 15605/2002 e 35853/2016). Ai sensi dell’art. 2270 cod. civ., infatti, il creditore del socio può esclusivamente far valere i propri diritti sugli utili derivanti dalla società (così, ad es. Cass. Civ. n. 19238/2003), compiere atti conservativi sulla quota di liquidazione e, nel solo caso in cui i beni del debitore non fossero sufficienti a soddisfare il proprio credito, richiedere la liquidazione della quota del socio.
Nel complesso, la società semplice costituisce certamente uno strumento valido nell’ambito del wealth management, che se correttamente utilizzato permette di raggiungere obiettivi di risparmio fiscale, segregazione del patrimonio e pianificazione successoria.