La tematica del passaggio generazionale è croce e delizia dei tempi moderni: amata dai cultori del diritto e al contempo rifuggita da coloro che dovrebbero porla in essere.
Per coloro ai quali tali processi sono diretti è chiara la ragione di una certa ostilità. Il passaggio suona come dismissione, ritiro. Come privazione dei beni e della proprietà che si sono acquisiti negli anni.
Per i cultori della materia è altrettanto chiara la ragione che sta alla base di questa passione: il diritto successorio e, più in generale, la pianificazione patrimoniale intesa in senso lato (pensiamo al passaggio del testimone in azienda) involgono complesse questioni giuridiche che toccano gli ambiti più svariati e lontani del diritto: dalle successioni alla famiglia, dal diritto commerciale – e societario – al diritto internazionale, ogni branca dello scibile giuridico sembra debba essere tenuta a mente.
Come in ogni problematica, però, è indispensabile muovere dalle origini del dilemma, origini che si trovano nel libro secondo del codice civile, dedicato al diritto successorio.
È invero tra le pagine di questo libro che si trova la disposizione che ingenera maggiori controversie, ovvero la riserva della quota di legittima in capo ai legittimari.
In parole semplici, il legislatore italiano si è premurato di individuare una categoria di soggetti ai quali, con norma imperativa, riserva una quota intangibile dell’asse ereditario che, come tale, non può essere sottoposta a pesi o condizioni alcune.
La lesione della quota di legittima consente al legittimario leso di esperire l’azione di riduzione e, conseguentemente, di recuperare quella parte di beni ereditari che a lui spettano ex lege.
Al contempo, la modalità tradizionale invalsa nella nostra economia di procedere per donazioni qualora si debba cedere un bene ai figli, senza che ciò sia guidato da una studiata pianificazione, comporta una difficile quantificazione del valore dell’asse ereditario e una altrettanto difficile individuazione delle quote spettanti a ciascun erede legittimario.
Aggrava ancor più il quadro, la diffusa tendenza nel nostro paese a non disporre per testamento. Nel 2014 solo l’8 % degli italiani aveva pianificato la propria successione mediante testamento, a fronte del 48 % del Regno Unito, del 32 % dei Paesi Bassi e del 28 % della Germania.
Le conseguenze sono sotto gli occhi dei più: l’assenza di una divisione testamentaria comporta l’instaurarsi della comunione ereditaria su tutti i beni caduti in successione, la comunione presuppone la condivisione delle scelte da parte degli eredi, la condivisione presuppone pazienza e buon senso, lì dove il diritto poco può. Ciò porta con estrema facilità all’avvio di giudizi per divisione ereditaria lunghi e faticosi, con elevato dispendio di energie e depauperamento del patrimonio ereditario.
Chiude il cerchio l’imposizione fiscale sui beni ricevuti in donazione: sebbene l’ordinamento italiano preveda franchigie piuttosto elevate, ciò non esclude la necessità di una disponibilità di liquidi per far fronte alle relative imposte, tanto più che è più che probabile una modifica legislativa in materia.
Le poche righe di cui sopra dovrebbero indurre il lettore a comprendere quali siano le sorti di una eredità per la quale non si è disposto non soltanto in anticipo, ma in realizzazione di una equilibrata e corretta pianificazione.
Se le criticità di cui sopra si applicano poi ad un sistema in continuo divenire come l’azienda, ben si comprende come essa non possa sostenere vani dispendi di energia e di tempo.
Messe in evidenza le valide ragioni a sostegno di una preventiva pianificazione patrimoniale, non si può non sfatare quel fenomeno verghiano di attaccamento “alla roba”.
Pianificare non significa necessariamente dismettere, non significa rinunciare ai propri beni.
Invero, se pensiamo al passaggio delle quote di una società, soprattutto di una srl, la normativa in tema societario consente la costruzione di clausole statutarie tali per cui il timone dell’azienda possa essere lasciato in mano al disponente. Ancora, si pensi al trust, laddove la figura del guardiano può verificare la corretta esecuzione delle disposizioni del trustee.
Ma, anche qualora si intenda restare in un’ottica più semplice, la facoltà di disporre con testamento, ove sapientemente utilizzata, consente di prevenire e disinnescare liti che non soltanto costringono gli eredi ad estenuanti cause civili, ma impoveriscono e spesso deteriorano quella stessa “roba” a cui tanto si è attaccati.